Il progetto promuove colture locali e un’alimentazione salutare, sfidando le monocolture latifondiste

Il Nord-Est del Brasile è una terra molto povera e non influenzata dallo sviluppo del resto della nazione, in cui il latifondo impedisce ai piccoli agricoltori di emanciparsi, mantenendo gran parte della popolazione in regime di semi-schiavitù.

La popolazione di Joaquim Gomes ha vissuto per decenni grazie a impieghi nella coltivazione della canna da zucchero e nell’industria di raffinatura situata alla periferia della città, ma la crisi mondiale dello zucchero ha determinato la sua chiusura nel 2001. La carenza di opportunità lavorative, pertanto, ha dato origine ad una migrazione stagionale degli uomini in età lavorativa in altre parti del Brasile.

In questo contesto, nel 2001, le suore missionarie insieme alla neonata associazione Novo Horizonte, costituita da giovani agricoltori ed adulti, decidono di creare questo progetto pilota che vuole in primis valorizzare le colture del luogo, con particolare attenzione alle tecniche di coltivazione tradizionale e biologica, ma anche dare dignità a piccoli e giovani agricoltori.

Si concretizza quindi il progetto dell’Orto Comunitario, inizialmente situato su un terreno di circa un ettaro, concesso in uso gratuito, per due anni, da una fazenda; viene quindi avviata la coltivazione di prodotti come manioca, fagioli, zucche, mais e frutti, quali maracujá, acerola, banane, ananas.

Nel 2003, a seguito di una valutazione positiva dei risultati, l’associazione Novo Horizonte, con la Congregazione delle suore di San Giuseppe e l’associazione Amici di Joaquim Gomes, decide d’investire sull’attività e dunque di acquistare il terreno su cui si lavorava più un appezzamento circostante a questo. L’orto comunitario copre ora una superficie di circa sette ettari.
Vengono assunti alcuni giovani agricoltori che diventano coordinatori dei diversi volontari e trovano qui un lavoro regolarmente stipendiato.

Grazie agli aiuti giunti dall’Italia, in particolare dall’Associazione, l’orto si struttura in maniera più organizzata: viene rafforzato e ampliato un bacino per l’irrigazione, vengono costruiti due pozzi, alcune cisterne e impianti d’irrigazione per garantire la coltivazione nel periodo di secca, che in questa zona dura circa cinque mesi l’anno. Inoltre, vengono costruite due abitazioni per ospitare le famiglie che lavorano e vigilano sull’orto.

Con la garanzia della proprietà del terreno, si sceglie di collocare piantagioni di alberi ad alto fusto come palme da cocco, alberi di mango, cajù, jaca, ma anche piantagioni di arance che richiedono un’irrigazione costante. Successivamente viene creato un vivaio ittico e avviato un progetto di pescicoltura.

Data la posizione favorevole dell’orto, non distante da appezzamenti di foresta atlantica, si sperimenta in modo positivo un progetto d’apicoltura della specie d’api native (Abelhas Nativas) e inizia la produzione e la vendita di miele.

Da qualche anno, inoltre, si organizzano uscite didattiche per bambini e giovani dai 12 ai 18 anni che, seguiti dai volontari, apprendono le regole basilari per la coltivazione e principi di educazione alimentare.

Nel 2011 nasce all’interno dell’orto il progetto della Serra Idroponica, grazie alla collaborazione con il “Laboratorio di cooperazione per lo sviluppo – sistema di coltivo e post-raccolta” (code crop) dell’Università di Padova, che ha analizzato e supervisionato la fase realizzativa della serra pilota.

L’idroponia è una tecnica di coltivazione in cui la terra è sostituita da un substrato inerte (argille, fibra di cocco o paglia di riso carbonizzata) nel quale le piante sono irrigate con un sistema idraulico a goccia. La struttura pilota della serra è stata progettata da un agronomo brasiliano ed è costituita per la maggior parte da materiali riciclati o a basso costo: la serra è infatti costruita in legno e le piantine vengono trapiantate in bottiglie di plastica sistemate in file di nove, incastrate l’una con l’altra e poste in declivio. Le piantine crescono alimentate da una soluzione di sali minerali che passano in un substrato costituito da pula di riso carbonizzata posta all’interno delle bottiglie. Un sistema idraulico a goccia permette la circolazione di questa soluzione da bottiglia a bottiglia. Questa tecnica contente la coltivazione di insalata, peperoni, cuentro (coriandolo).

Con l’attuale struttura idroponica si riescono a raccogliere circa 880 cespi di insalata alla settimana che vengono commercializzati, insieme agli altri prodotti dell’orto, presso il mercato locale, presso alcuni supermercati e lanchonete (tavola-calda) del paese e distribuite alle famiglie più bisognose. I soldi raccolti dalla vendita sono utilizzati per sostenere alcune spese del progetto e pagare i dipendenti.

Oggi l’orto è una realtà strutturata ed è diventato simbolo della ricchezza di questa terra che, se utilizzata in maniera cosciente ed equa, può donare moltissimi prodotti, qualitativamente ed economicamente convenienti per le persone del posto, coltivati a chilometri zero, nel rispetto dell’ambiente, e non trasportati da lontano come nella grande distribuzione.

Sostenendo questo progetto consentirai di formare e impiegare professionalmente delle persone, nonché di aumentare la coltivazione di prodotti che non solo vengono usati per sostenere i bambini degli asili e le famiglie più bisognose, ma che permettono anche, vendendoli al mercato, di autofinanziarsi e di sostenere nuovamente il progetto, instaurando così un circolo virtuoso in un’ottica di sviluppo, di crescita e di indipendenza dagli aiuti esterni.

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