Una mattinata in Delegacia (diario di Alberto, Joaquim Gomes, Agosto 2014)

E’ una giornata come le altre, a Joaquim Gomes. O forse no.

La pioggia leggera della notte ha lasciato spazio ad un sole radioso e caldo; il verde delle colline è più verde che mai, e  noi siamo nel bel mezzo del mercato. Un via vai di persone impressionanti , confusione, urla sorrisi, strette di mano, abbracci. Sono le 10 e mezzo, ed oggi è un giorno un po’ particolare, perché andiamo a trovare i carcerati che stanno a pochi metri da qui, nella Delegacia. Che non è nient’altro che un paio di celle inserite in una struttura. Un posto di passaggio, massimo 90 giorni, in attesa di processo. Così dice la legge. Così non è.

Michele, nostro accompagnatore, nonché grande amico, per fortuna conosce il poliziotto alla porta. Ci guarda, controlla cosa abbiamo da portare oggi per loro, ci lascia passare. Scendiamo qualche scalino, tutto si fa più silenzioso, più scuro, quasi buio.

Sento però delle voci, sono i ragazzi rinchiusi dentro.  E’ da una settimana che ci aspettano, dall’ultima visita di Michele; ci sono due celle, grandi quanto il nostro bagno, o la cucina. In una sono in tre, nell’altra in sette. Piano piano gli occhi si abituano allo scuro, e riusciamo a vederci negli occhi queste persone di varia età, e instaurare un minimo di discorso. E’ molto strano stare qui, molto triste.  Non sappiamo bene le loro storie, sappiamo che qualcuno ha ucciso, qualcuno rubato, o altro. Quello che non vorremmo mai sapere o vedere sono le condizioni in cui versano. I 90 giorni non esistono, qualcuno è dentro da mesi, una persona addirittura da un anno. Un anno! Pensi a quante cose hai fatto tu, in un anno, e poi a lui. In uno spazio angusto, qualche materasso buttato per terra, senza nulla da fare tutto il giorno; a volte qualcuno di loro viene picchiato dagli altri, o vengono malmenati dalle guardie tutti; c’è chi non riceve visite della famiglia da mesi, perché la famiglia non ce l’ha, o è via, o non può farsi vedere li; i processi ritardano, non partono, non si sa. Qualcuno spera di uscire questa settimana, ma probabilmente non uscirà. Forse non ha neanche commesso il fatto. Ma intanto è li, senza sentire il mercato la fuori, nulla.  Ti domandi tante cose, ma a molte non sai dare risposta. Il tuo animo viene scosso, perché vedere un essere umano trattato da animale, ti scuote l’animo, e non potrebbe essere altrimenti. La persona, li dentro, viene quasi annullata. Ci consegnano dei braccialetti fatti da loro per la nostra associazione; per qualcuno è un motivo per fare qualcosa, per andare avanti. Dico a tutti che pregherò per loro dall’Italia, sembrano ringraziarmi con lo sguardo e con le strette di mano. E’ il minimo che possa fare.

Vorrebbero poi almeno sapere che tempo c’è fuori. Fino a poco tempo fa sporgevano il capo nella fessura per il cibo, per vedere se c’era pioggia, sole, nuvole. Adesso hanno chiuso anche quello. Resta lo spazio per le mani, quello si. Ci avviciniamo a entrambe le celle, a semicerchio, per dire un Padre nostro tutti uniti. E’ molto toccante. Ancora una stretta di mano, ed è ora di uscire.

Di nuovo gli occhi si chiudono, questa volta abbagliati dalla luce.  Sembra una giornata come le altre, a Joaquim Gomes. Ma non lo è.

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