Mi affaccio dalla porta della casa di Michele. Non c’era il sole, stava per venire a piovere, ma
sapevo che dopo sarebbe spuntato. La strada era piena di gente, tra lavoratori, studenti con la divisa, comuni passanti, tutti vestiti in maniera semplice e colorata. Il colore è predominante non solo nei vestiti, ma anche nelle case, nelle strade, nella natura…
Non ho avuto particolari opinioni appena ho visto Joaquim Gomes, sapevo solo che ero in Brasile e questo mi faceva sentire felice.
Per le strade sentivi dire: “ Oh guarda, ci sono gli italiani!”. Erano felici e curiosi di sapere chi era venuto quest’anno a Joaquim Gomes. Ci stavano aspettando.
Man mano che passano i giorni conosciamo sempre più gente tra giovani, adulti e bambini… ci affezioniamo molto. Conosciamo le loro storie, mi sembra assurdo come delle persone possono vivere determinate situazioni. Pensavo che povertà e violenza fossero già abbastanza…
Mi sento molto fortunata. Fortunata non soltanto per tutto quello che ho e che a volte non sono riuscita ad apprezzare, perché mi sembravano cose scontate, come l’affetto e i rimproveri dei genitori o come un piatto assicurato ad ogni pasto. Fortunata non soltanto perché sono nata in un paese ed in una famiglia che m ha sempre permesso di poter studiare e quindi di scegliere, ma fortunata sopratutto perché ho conosciuto persone che vivono dall’altra parte del mondo, che parlano una lingua diversa dalla mia, con una cultura diversa dalla mia e che mi hanno confermato che la cosa più importante al mondo è l’amore.
L’amore che crea ponti, che crea legami. Grazie all’amore posso definire le persone che ho conosciuto a Joaquim Gomes come amici e non persone che ho incontrato in missione, grazie all’amore posso dire che queste persone fanno parte di me e mi rendono migliore.
Migliore perché mi hanno insegnato che i problemi della vita sono altri, migliore perché non
bisogna mai identificarsi con le cose negative che ci accadono, migliore perché l’amore va anche messo in pratica, da un sorriso al tendere una mano per l’altro.
Mi hanno insegnato che è importante che i nostri occhi vadano oltre a quello che vediamo, perché c’è un altro mondo, più nascosto, più difficile da vedere, perché va oltre i confini del nostro campo visivo, ma dobbiamo sforzarci di superare le barriere, ad abbatterle con amore e delicatezza.
C’è un mondo dietro ad ogni persona, un mondo sacro e se riusciamo a vederlo abbiamo vinto nella vita perché vuol dire che siamo entrati nel cuore di una persona e lei nel tuo. Tutto ciò genera amore e di conseguenza bellezza. Dobbiamo essere portatori di bellezza, quella vera. Se siamo capaci diventa una catena indistruttibile.
Noi italiani andiamo a Joaquim Gomes per aiutare le persone, per esserci per le persone, la nostra testimonianza è importante, ma non sottovalutiamo il fatto che queste persone possono aiutarci, possono esserci per noi. D’altronde siamo tutti umani allo stesso modo.
Nessuno salva nessuno, ma nessuno si salva da solo.
Spero di essere riuscita in così poche righe a rispondere a quella domanda che mi è stata fatta più e più volte: “Ma cosa facevi a Joaquim Gomes?”. Inoltre spero anche di aver risposto a quella domanda che, anche se non mi è stata riproposta tante volte una è già tanta: “ Perché al posto di partire ed andare ad aiutare un altro paese non rimani qui in Italia, visto che c’è bisogno di una mano?”
Oltre ad essere partita per un senso umanitario, sono partita per trovare un senso di me, un senso del mondo ed un senso di me nel mondo. Posso dire che ho trovato molto di più, ho provato a spiegarlo a parole, ma non bastano, bisogna provarle.
Giulia