Buona Festa delle Donne dall’Associazione Amici di Joaquim Gomes

In questa giornata dedicata alle donne, abbiamo voluto riflettere sulla vita, i contesti e le situazioni che noi donne quotidianamente affrontiamo. Che conseguenze ha essere donna? Viviamo in un paese occidentale, sviluppato, dove le pari opportunità hanno portato le donne e gli uomini ad essere uguali. Se ci chiedono “Ti senti discriminata in quanto donna?” subito ci viene da rispondere “Assolutamente no!”… ma è veramente così? Quali sono altre realtà che una donna come noi vive in un’altra parte del mondo, in un clima diverso e dove la cultura non è come la nostra?

Donna

Mi chiamo Sofia, ho 33 anni e una famiglia: un marito, un bimbo di 4 anni e un gatto. Vivo in un paese vicino a Torino e ogni giorno mi alzo alle 7.30, mi lavo e mi vesto e faccio colazione, a volte al bar con una mia amica, mi metto in auto e vado a lavoro. 

Sono un’assistente sociale, mi occupo di accoglienza in un centro per stranieri. Ho scelto questa professione perché mi piace lavorare con e per le persone.

In ufficio non posso andare vestita in modo “provocante” perché quasi tutti i ragazzi sono adulti stranieri e tutti i miei colleghi mi hanno detto che è meglio non esagerare. Noi siamo più colleghe che colleghi e quando c’è da andare a fare il giro delle case dove stanno i ragazzi accolti, di regola noi donne non andiamo mai da sole, ma almeno in due; un mio collega invece può andare solo. Quando rimango l’ultima in ufficio, il mercoledì e il giovedì, sono sola alla mia scrivania per mezz’ora, prima di chiudere e andare a casa e mi hanno detto di evitare di fissare appuntamenti con chiunque “perché non si sa mai”. 

All’inizio seguivo tutti questi suggerimenti alla lettera, non sapevo che cosa aspettarmi e non avevo mai lavorato con gente che non fosse per la maggior parte italiana. A poco a poco ho notato che erano gli italiani stessi a insinuarmi queste paure, queste accortezze da mantenere e non con cattiveria o malizia, ma perché è parte del nostro tempo, della nostra “tanto paritaria” società; i ragazzi del centro invece non mi hanno mai messo a disagio, non mi hanno mai fatto nemmeno pensare che io debba avere qualche attenzione se mi ritrovo sola con loro.

Mulher

Io sono Maria: mi alzo prestissimo al mattino, prima che sorga il sole, sapendo che ho il carico della famiglia sulle mie spalle. Vivo in Brasile, in Alagoas e qui i mariti escono presto per lavorare o sono costretti ad emigrare per molti mesi l’anno: la maggior parte di loro lavora nelle piantagioni, in Mato Grosso, a 2200 km.

Rimaniamo noi donne con i figli. A noi tocca andare al fiume a lavare, cercare la legna per cucinare, riuscire a sfamare con pochi alimenti le tante bocche di casa. Io ho 27 anni e 3 figli. Vorrei che loro andassero a scuola, ma alle volte devo chiedere alla più grande di non andare per restare a casa ad aiutarmi a sbrigare le faccende, oppure se qualcuno dei più piccoli si ammala. 

È dura essere una donna qui: siamo indispensabili per mandare avanti la casa e la famiglia, ma siamo sentinelle e questo ci impedisce di poter studiare, viaggiare, lavorare…vivere la nostra vita.  Ma noi donne non ci scoraggiamo nel dover fare tutto questo: vedo in televisione altri livelli di vita, ma non sono sicura che questi esistano veramente; se sì, è perché probabilmente quelle donne valgono più di noi. Comunque sia, ringrazio per la mia vita e per la vita dei miei familiari!

Mwanamke

Mi chiamo Rose, ho 30 anni e 6 figli. Vivo nei dintorni del villaggio di Gatunga, nel Kenya centrale, e mi alzo ogni giorno all’alba e guardo il sole rosso che si alza sulle colline cosparse di acacie e di baobab. Esco dalla mia casa dai muri di terra e dal tetto di lamiera, prendo un grande bidone giallo di plastica per l’acqua e percorro la strada polverosa che mi porta in un’ora al centro del villaggio: lì c’è un pozzo. Torno a casa e mi faccio aiutare dalle mie figlie a preparare l’ugali per tutti, anche se i miei figli più piccoli non torneranno a casa stasera: restano nella scuola della parrocchia perché c’è troppa strada per tornare ogni sera a casa. Nel pomeriggio a volte scendo al mercato di Marimanti per vendere le ceste di giunco che confeziono in casa e in cambio posso comprare verdura e semi di fagioli. La terra di Gatunga è arida e il clima è troppo caldo per le coltivazioni, ma appena dopo le piogge io semino i fagioli che sono piante a crescita veloce, così prima della grande siccità riesco a raccoglierne qualche sacco. Quest’anno però all’orizzonte all’improvviso è apparsa una strana, enorme nuvola nera: erano milioni di locuste hanno invaso il territorio e ci hanno divorato tutti i raccolti. Le nostre provviste sono andate completamente distrutte, ma nonostante tutto abbiamo fiducia in Dio, sappiamo che Lui non ci dimentica e ci darà la forza per continuare. La sera, quando il sole rosso scende dietro le colline del Tharaka, vado con i miei figli sotto il grande mango e attorno al fuoco i vecchi del villaggio ci raccontano tante storie antiche di quando il nostro popolo era fatto di tribù fiere e potenti. Allora alzo gli occhi, guardo la luna e penso che non potrei vivere in nessun altro posto che qui, nel cuore della mia Africa.

Abbiamo capito che la strada fatta è tanta, ma ancora dobbiamo percorrerne perché adesso le sfide e le discriminazioni da battere sono più sottili e meno visibili, come le schegge del legno. La carta a vetro per levigarle l’abbiamo: è fatta della nostra tempra, della nostra resistenza, della nostra tenerezza e della nostra sensibilità. Dell’amore e del genio che risiede in ognuna di noi. 

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